Ed ecco a voi le tanto attese cronache del mio week-end romano, due giorni in cui me ne sono successe di tutti i colori e in cui ho tirato giù tanti di quei santi che quelli del calendario son finiti presto e ne ho dovuti inventare di nuovi.
Le cose sono andate male proprio dall'inizio: a parte la sveglia all'alba, che quella è già maledetta di suo, per sbrigarmi ad andare a prendere il treno ho dimenticato a casa il mio pranzo, e qui la prima bestemmia della giornata.
Giunta a Genova, avevo solo un quarto d'ora di tempo prima che arrivasse la coincidenza per Roma e allora mi sono sbrigata ad andare al bar per prendere qualcosa da mangiare che non contenesse latte o latticini, ovvero NIENTE, accontentandomi alla fine di qualche bustina di gallette di mais ricoperte di cioccolato fondente (il pranzo ideale, insomma).
Ovviamente la fila al bar era infinita e il tempo scorreva veloce, due condizioni che non collimavano affatto, ma per una strana botta di culo sono riuscita ad arrivare in cassa entro un tempo ragionevole, che se avessi corso sarei riuscita a prendere il treno senza problemi (a parte l'enfisema polmonare).
Solo che tutta questa grazia ha avuto una botta d'arresto: il mio bancomat risultava annullato e io non avevo contanti appresso, fiduciosa di prelevare al bisogno se mi fossero serviti.
Fortunatamente per me, avevo anche la prepagata di Lemmy per le emergenze e così, dopo un'altra buona bestemmia, ho potuto pagare il mio lauto pasto e tornare ai binari di corsa, che l'idea di rimanere senza mangiare per tutto il viaggio era decisamente inaccettabile e la fame già cominciava a farsi sentire.
Arrivata ai binari qualcos'altro ha cominciato a farsi sentire: il caldo.
Nei giorni scorsi a Grande Inverno stavamo sui 16-18 gradi durante il giorno e così, convinta di trovare le stesse temperature un po' ovunque, mi sono bardata con scarpe chiuse, collant, coprispalla, stola e giacca di pelle, e ho infilato nello zaino ben due vestiti a manica lunga e l'ombrello per il resto del mio soggiorno, perché io valgo.
Ovviamente non potevo essere più in errore di così, una volta alzatosi il sole di Genova, ben più caldo di quello di Grande Inverno, si è reso necessario eliminare gli strati più pesanti del mio outfit, con conseguenti calate di santi per l'ulteriore fastidio per l'ingombro fra le braccia, che manco a farlo apposta, nello zaino non c'entrava neanche uno spillo.
Pensavo però che la sofferenza durasse poco, che tanto il treno sarebbe arrivato presto e sarei stata libera e felice senza i miei bagagli addosso una volta seduta al mio posto, solo che non avevo fatto i conti con l'efficienza delle Ferrovie dello Stato che ha fatto arrivare il mio treno con un'ora abbondante di ritardo.
UN'ORA DI RITARDO.
Eh, quando c'era LVI.
E non è finita qui, sui tabelloni informativi scorreva insistente la notizia che lunedì 22 settembre ci sarebbe stato sciopero nazionale dei treni, la ciliegina sulla torta che non poteva mancare in questa mia giornata cominciata non proprio nel migliore dei modi.
Ora, apriamo una piccola parentesi: la notizia riportava che lo sciopero sarebbe durato 24 ore nella giornata di lunedì 22 settembre, ma la maggior parte delle persone che sostava nella banchina insieme a me, ha capito che lo sciopero era appena iniziato e sarebbe durato tre giorni.
Perché?
La comprensione del testo ormai è un optional, diobestia.
Io mi chiedo, porcodemonio, come si può arrivare a capire fischi per fiaschi nonostante l'annuncio nero su bianco fosse chiaro, preciso e conciso, come?
Ovviamente mi sono fatta i cazzi miei, che di fare polemica in quel frangente proprio non ne avevo voglia, ma cribbio, constatare un tale livello di ignoranza mi ha lasciato alquanto amareggiata.
Eh vabbè, chiudiamo la parentesi.
Questo post sta diventando chilometrico e siamo solo all'inizio.
Dicevamo, fra mille altre calate di santi per i motivi di cui sopra, alla fine il treno è arrivato e il viaggio verso la capitale si è compiuto abbastanza tranquillamente: ho pranzato con le mie gustose gallette di mais e cioccolato, ho letto dei libri sul mio kindle, ho letto un libro cartaceo, ho giocato un po' con il cell e mi sono anche appennicata, che sei ore di viaggio sono abbastanza pesanti da affrontare.
Il peggio è arrivato una volta scesa alla stazione Termini, dove ho scoperto che il treno che avrei dovuto prendere per il ritorno aderiva allo sciopero e non sarebbe partito, rendendo necessario trovarne un altro disponibile in giornata, e alla svelta anche.
Risultato: un'altra ora persa a fare la coda agli sportelli per ottenere un cambio e poter tornare a casa senza troppi disagi.
Ma alla fine tutto è andato bene e sono riuscita ad arrivare a casa di mamma Samara, distrutta ma felice.
Peterpan mi aveva anche chiesto se appena arrivata volessi andare con loro agli allenamenti di rugby di Gnegno, ma anche no, a parte che non avrei mai fatto in tempo, quello che anelavo era solo poter parcheggiare le chiappe sul divano e svaccare fino all'ora di cena tra i mille bacini di Lilli, com'è giusto che sia.
Ovviamente non ho risposto così a Peterpan, ma gli ho detto che desideravo stare più tempo possibile con mamma Samara e non mi andava di lasciarla sola, al che di rimando lui mi fa: così ci litighi dal vivo invece che per telefono?
Esatto.
Sempre ovviamente, non c'è stato riposo per il guerriero, una volta arrivata a casa e fatto merenda, siamo andate a fare la spesa e a portare Lilli a spasso, per poi preparare la cena, che saremmo stati tutti insieme appassionatamente una volta conclusi gli allenamenti.
Nonostante i mille disagi, la stanchezza e i tanti dolori corporei dovuti allo strapazzo cui ho sottoposto le mie membra non tanto giovani, stare con la mia famiglia dopo tutti questi mesi è stato confortante, un vero balsamo per l'anima che mi ha ridato forza e vigore.
E non ci sono state neanche guerre dei mondi con mamma Samara, incredibile.
I miei pezzi di cuore erano così contenti che fossi scesa che hanno deciso di fermarsi a dormire da noi, tutti e due nel lettone con me e tutti e due in posizioni decisamente strambe che non mi hanno consentito di chiudere occhio per la grande scomodità in cui mi sono vista costretta a rimanere.
Ma è stato bellissimo lo stesso.
La mattina dopo le due piccole pesti avrebbero dovuto fare colazione salata con le uova secondo le precise istruzioni del padre, ma visto che a casa della nonna decidono loro, hanno pasteggiato con molta naturalezza con pane tonno e maionese, mentre io sorseggiavo la mia dolce tisana calda cercando di tenere a bada le mie perplessità al riguardo.
Ma hanno anche dei difetti.
Una volta lavati e pettinati è arrivata l'ora dei saluti, i genitori se li sono venuti a riprendere e io mi sono imbarcata per il mio viaggio di speranza verso casa dell'amica Candy, raggiungibile facilmente con la metro C che, proprio quel giorno, era completamente chiusa.
E qui una buona bestemmia.
Fortunatamente c'era la navetta sostitutiva, altrimenti sarei ancora ferma a San Giovanni a calare santi e a maledire l'Atac e tutto il creato, com'è giusto che sia.
Comunque, dopo essere scesa alla fermata più vicina a quella della metro che mi serviva, di cui l'autista non aveva minimamente idea dove fosse -tra l'altro- costringendomi a tirare ad indovinare, e dopo essere stata recuperata dalle amiche di Lena in macchina, finalmente sono giunta dall'amica Candy, per l'occasione obbligata ad allontanarsi da casa per consentire la buona riuscita della sorpresa.
E che sorpresa, convinta che il pranzo fosse stato organizzato solo con i colleghi e le amichette della figlia, quando l'amica Candy si è vista davanti le sue sorelle e me, che abitiamo tutte lontano, è crollata a piangere di felicità.
Missione compiuta, posso ritenermi soddisfatta.
Il resto della giornata è scorso allegramente tra cibo, gossip, chiacchiere e risate fino all'ora di cena, quando si è reso necessaria la mia dipartita per il ritorno a casa di mamma Samara, sempre con la navetta della speranza di cui noi tutte ignoravamo l'ubicazione della fermata di ritorno.
Ma ce l'ho fatta, sono rientrata sana e salva e distrutta, ma decisamente appagata.
Il giorno dopo altra sveglia all'alba, il conducente della navetta di ritorno mi aveva detto che ci sarebbe stato lo sciopero anche di metro e autobus oltre a quello dei treni, e così mi è toccato partire presto e aspettare cinque ore (CINQUE ORE) in stazione prima di poter salire sul mio convoglio.
Cinque ore sono tante, ma tra un giretto per la stazione (in cerca di un posto dove sedermi), la pausa pranzo (che stavolta non ho dimenticato di portarmi) e una sosta al bagno (per la bellezza di un euro e venti di costo, parliamone), alla fine sono riuscita a sopravvivere all'attesa, arrivando abbastanza sana di mente al mio treno.
Il viaggio di ritorno è scorso tranquillo, ma avendo finito il libro cartaceo e non avendo voglia di leggere sul kindle, alla fine mi sono messa a guardare il dottor House sul cell mentre sgranocchiavo senza ritegno tutti gli snack che mi ero portata appresso, oltre alle già citate gallette di mais con cioccolato fondente, con somma soddisfazione sia di cervello che di stomaco.
Una volta arrivata a Genova pensavo che il peggio fosse passato, si erano fatte ormai le sette di sera ed entro poco sarei tornata nella mia casa dolce casa... e invece colcazzo, la macchinetta per fare i biglietti non dava disponibili i treni che sarebbero partiti a breve per Grande Inverno, costringendomi ad acquistare quello per il primo disponibile alle ore otto e mezzo.
E qui una buona bestemmia.
Salita al binario preposto ho poi capito il perché dei biglietti non disponibili: il treno delle sette e venti portava ritardo e, come già successo, alla fine è arrivato con la sua bella ora di ritardo, fra mille calate di santi sia mie che degli altri viaggiatori in attesa.
Risultato: ho rimesso piede in casa mia verso le dieci di sera, completamente sfatta e distrutta (e affamata) da queste quattordici ore di viaggio.
Quattordici ore di viaggio per fare seicento chilometri, parliamone.
Anzi no, che al solo pensiero son già stanca.
E' stato bello andare per due giorni nella mia amata capitale, ma è stato altrettanto bello tornare a Grande Inverno, tra le braccia del mio Lemmy e le feste di Rey, che a giudicare da quanto mi si è appiccicato addosso, ha sentito decisamente la mia mancanza.
E io gongolo.
E aggiungo che tutte le sfighe che mi sono capitate non possono essere state un caso, qui c'è lo zampino delle macumbe della collega junior, poco ma sicuro.
Ma tanto io sto qua viva e vegeta, attaccate al cazzo, stronza.
Ovviamente la stronza non si è limitata alle macumbe, la storia continua nella prossima puntata.
Restate connessi!
mercoledì 24 settembre 2025
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
post popolari
-
Ieri sera mi sono vista con l'amico gigante, uno dei miei amici storici. Erano anni che non ci vedevamo e sentivamo presi dai nostri ri...
-
L'amico coguaro ieri ha scapocciato e non vuole più parlare con nessuno, dando spiegazioni solo a me. E come sospettavo c'è di mezzo...
-
Ieri sera big reunion della famiglia per festeggiare il compleanno di Generalenonna, c'eravamo tutti (o quasi), perfino Peterpan con l...

Nessun commento:
Posta un commento